Con “Umani giorni”, Meron apre uno squarcio profondo su ciò che significa vivere, sentire, attraversare la fragilità.
Il nuovo singolo nasce tutto d’un fiato, come un’urgenza che si fa melodia, e conferma l’attitudine dell’artista a trasformare emozioni grezze e vissuti intensi in musica viscerale, autentica.
In questa intervista, Meron racconta il rapporto istintivo con la scrittura, l’importanza di preservare l’impatto emotivo di ogni verso, e il valore di una frase che — senza essere mai toccata — si è imposta da subito come una verità.
INTERVISTA
Hai raccontato che testo e musica sono nati in pochissimo tempo: cosa succede dentro di te quando una canzone prende vita così?
Non te lo so spiegare sinceramente.
Accumulo tantissime sensazioni sia positive che negative, dettagli, momenti…
poi provo solo a trascriverle in musica, con una scrittura per lo più cinematografica.
Ti capita più spesso di scrivere di impulso o di lavorare a lungo su un’idea?
Scrivo sempre di getto. Se la canzone non esce entro 15 minuti piuttosto la lascio stare, perché vuole dire che ho ancora un po’ di cose da metabolizzare
Preferisci catturare il momento o riflettere a lungo sulle parole da usare?
Catturare il momento, assolutamente. Sulle parole non rifletto più di tanto, mi vengono fuori naturalmente, al massimo modifico qualcosa in studio, ma solitamente non capita quasi mai.
C’è una frase di “Umani giorni” che ti è venuta di getto e che non hai mai pensato di cambiare?
Se la fortuna esiste si svela quando mostri a me una strada che richiama umani giorni”
Penso che sia una delle mie frasi più riuscite in assoluto.
Quanto è importante per te preservare l’autenticità emotiva di un brano?
È importantissimo, a parer mio più dell’intonazione vocale. Sin dall’infanzia ascolto grandissimi artisti che non hanno mai avuto grandi doti vocali, ma che, quando cantavano sapevano bucarti lo stomaco con la loro intensità emotiva.
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