lunedì, 12 Maggio, 2025

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Cinque artisti indipendenti che escono dal rumore di fondo

In un’epoca in cui la musica sembra dover essere prima di tutto contenuto – confezionato, impacchettato, ottimizzato per piattaforme e scroll compulsivi – ci sono artisti che scelgono di restare fuori dal rumore. Per indole o per scelta consapevole, non perché siano fuori dal tempo, ma perché non si uniformano.

Questo articolo raccoglie cinque progetti musicali che, in modi diversi, si muovono con coerenza e indipendenza. Artisti che spesso fanno tutto da soli: scrivono, registrano, promuovono, suonano dal vivo, curano l’artwork e i social – se e quando decidono di usarli. Lo fanno per necessità, certo, ma nel tempo quella necessità diventa anche virtù: si diventa artigiani del proprio suono, del proprio immaginario, della propria narrazione.

A volte si vede: una copertina fatta con mezzi di fortuna, una foto di promozione scattata al volo con l’iPhone. Ma altre volte, e più spesso di quanto si pensi, questa mancanza di patina diventa il valore aggiunto. Perché ci ricorda che dietro a quei brani non c’è una strategia di marketing, ma una persona che ci crede davvero. E questa autenticità, oggi, vale più di qualsiasi algoritmo

SPOTIFY AMADO

Amado è una voce delicata ma chiarissima, che arriva da un confine geografico e musicale: quello tra la Liguria e il Brasile. Il suo ultimo singolo Lucciole e ninfee è un piccolo mondo sospeso, fatto di immagini luminose e malinconie leggere, in perfetto equilibrio tra canzone d’autore e influenze sudamericane.

La sua storia artistica si intreccia con quella personale: di professione è uno chef, e il suo lavoro lo tiene spesso lontano dai social e dalle dinamiche promozionali. Ma proprio questa distanza lo rende più credibile, più vicino. La sua musica cresce lentamente, come le cose vere, e si nutre di relazioni autentiche, anche oltre oceano: da tempo Amado collabora con artisti brasiliani, diventando un ponte silenzioso tra due mondi che condividono una stessa dolcezza disillusa. Non ha bisogno di urlare per farsi sentire: basta ascoltarlo con attenzione, e resta.

SPOTIFY GALAPAGHOST

Galapaghost è uno di quegli artisti che sembrano non avere fretta: fa musica come se fosse una forma di resistenza silenziosa, una conversazione intima che attraversa gli anni. Il suo nuovo EP Black Lemonade è un lavoro raccolto, malinconico, a tratti oscuro, ma sempre guidato da una sensibilità gentile. Anche quando non lo dice esplicitamente, ogni sua canzone sembra parlare di famiglia, di legami, del bisogno di esserci l’uno per l’altro.

Dietro al progetto c’è Casey Chandler, musicista americano che da anni ha scelto l’Italia come casa, costruendo un percorso lontano dai riflettori – il che non significa che non abbia raggiunto traguardi importanti, semplicemente si tiene lontano dallo sbandierarli in giro, ma pieno di senso. Non è nuovo a collaborazioni importanti: la sua musica è stata scelta dal regista Gabriele Salvatores per far parte della colonna sonora del film Il ragazzo invisibile, a dimostrazione di quanto il suo sound sia capace di entrare in profondità emotiva senza invadere la scena.

Galapaghost coltiva una comunità piccola ma reale, fatta di ascoltatori che lo seguono con affetto, spesso incontrati lungo concerti e festival indipendenti. Non si impone: si lascia scoprire. E quando succede, la sua musica si incolla addosso in modo discreto ma duraturo.

SPOTIFY BANDIT

Dopo anni di silenzio, BANDIT è tornato con Grigia, un disco che non ha né etichette né intenzione di averne. Troppo pop per essere sperimentale, troppo assurdo per essere pop, troppo serio per essere parodia: Grigia è incollocabile, e proprio per questo irresistibile. Ogni traccia sembra sfidare il bisogno di coerenza, come se BANDIT giocasse a sabotare qualsiasi aspettativa, mantenendo sempre un tono obliquo, straniante, a tratti comico senza mai essere leggero.

Il titolo stesso – Grigia – è rivelatore: potrebbe sembrare un manifesto di normalità anonima, ma finisce per diventare il contrario. Una provocazione quieta. Fonti certe dicono che BANDIT lavori nella comunicazione, e questo getta una luce interessante sul suo modo di stare in scena, o meglio: di starne fuori. Il suo non esporsi, il suo pubblicare da dietro le quinte, sembra una scelta voluta. Forse non ci crede fino in fondo, o forse ha deciso di relegare tutto a un divertissement – un gioco serio, lucido, che prende in giro proprio chi si prende troppo sul serio. In un mondo pieno di contenuti “colorati”, Grigia è un segnale di fumo tra le nebbie, e si vede benissimo.

SPOTIFY ALBERTO MANCINI

C’è qualcosa di inaspettatamente vivo in About Dreams, il nuovo disco di Alberto Mancini: un disco che non fa rumore, non invade le timeline, ma si insinua piano, come una colonna sonora che hai l’impressione di conoscere da sempre. È un lavoro che fonde classica contemporanea, sensibilità jazz e un certo gusto cinematografico, capace di trasformare ambienti come quelli de La Corte dei Miracoli di Milano in spazi evocativi, quasi scenografici.

Le copertine dei suoi lavori, realizzate con l’aiuto di ChatGPT, raccontano bene questo doppio binario: da una parte l’artigianato del suono, dall’altra una tecnologia usata in modo consapevole, non come scorciatoia ma come linguaggio. In About Dreams si respira l’idea di un jazz contaminato, a tratti accademico, che non è morto, ma che si è ritirato altrove, in spazi più silenziosi, più attenti. Mancini non si impone, non cerca esposizione, e forse proprio per questo riesce a colpire più a fondo. È un disco che sembra parlare da solo – che potrebbe insegnare molto ai cantautori, e che ci ricorda che esiste ancora un modo profondo di fare musica, anche oggi.

SPOTIFY GIORGIO ADAMO

Chi conosce Giorgio Adamo per la sua carriera nel teatro musicale — tra palchi importanti e ruoli da protagonista — potrebbe restare sorpreso dal suo ultimo lavoro discografico. Più dei giganti è un disco timido, introverso, quasi sussurrato. È come se per la prima volta Adamo decidesse di abbassare la voce, uscire dal personaggio, e mostrarsi così com’è: con tutte le sue incertezze, le sue domande, le sue immagini private.

Il contrasto tra la sua formazione teatrale e questo album così personale è forse la chiave più interessante del progetto. Niente scenografie, niente effetti: solo voce, canzoni e un’urgenza nuova di raccontarsi. Anche in questo caso, niente social martellanti o lanci strategici. Il disco è uscito in punta di piedi, quasi in sordina, ma proprio per questo ha il potere di colpire chi lo incontra. Un artista abituato alla scena che per una volta sceglie la penombra, e ci invita ad ascoltare, non a guardare.

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