mercoledì, 24 Aprile, 2024

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Presentazione del romanzo rosa “A.A.a cercasi partner con lo stesso nome” dopo il successo di “A bordo di un Arcobaleno”, edito Cavinato International di Viviana Fornaro Brambilla

Biografia dell’autrice

Viviana Fornaro, ha vent’anni (più otto) e vive in un comune alle porte di Milano. Il nome, di origine francese, significa “piena di vita ed energia”, e lei ci tiene a confermarne la derivazione. Il cognome, invece, arriva dal sud Italia, più precisamente dalla calda terra partenopea, infuocata dal Vesuvio e, nell’altra metà dei suoi geni, ‘scorrono’ arancini e cannoli siciliani. Oltre alla passione per i dolci e il fitness, Viviana ne coltiva una in particolare: il giornalismo. Dal 2015, Viviana è iscritta all’Albo dei Giornalisti Pubblicisti (matricola 158285), e nonostante le difficoltà nel “farsi largo” in un mondo al quanto particolare, collabora con diverse testate. “Mi piace essere realista e positiva: del resto, se concentri le energie in ciò che vuoi, queste potrebbero sentirsi chiamate in causa: “Hey, perché bussi alle mie spalle da ‘anni’? Ho capito, mi giro e ti do retta”.

Ecco come immagino i miei desideri, alla loro porta”. L’anno successivo, esattamente il 24 ottobre, Viviana Fornaro ha ritirato personalmente il ‘Premio Letterario Rimini-Europa’, che comprendeva una medaglia d’oro e un diploma d’onore. Un concorso prestigioso che valorizza i talenti della nostra Nazione, tra poeti, personaggi dello spettacolo e cultura e giornalisti. ‘Vite in Matrioska’, invece, è il suo blog personale su cui pubblica interviste, pensieri, riflessioni su fatti attuali e mai di politica (precisa). Curiosa e caparbia per natura, frase dopo frase, Viviana ha dato vita al libro, che ama definirlo ‘tentativo’, in quanto è la prima volta che si cimenta in una scrittura autobiografica, dopo anni che ha retto il microfono a terzi. “Ho colto il momento della ‘reclusione’ casalinga, per investire il mio tempo in qualcosa di utile e duraturo, a differenza di una torta che mangi e poi finisce”. Il racconto, vuole diventare uno scrigno prezioso per il futuro, visto e dagli occhi dell’autrice, e da quelli di sua figlia Lucrezia, nata nel pieno della pandemia, il 1°luglio 2020.

A.A.a (volutamente con l’ultima lettera minuscola), è stato scritto parola dopo parola, fantasia su fantasia, nell’arco temporale di tre settimane. Non esagero sulla tempistica, è la realtà. Ho assecondato le mie idee, sviluppandole in modo fluido e chiaro, durante un mattino di inizio gennaio. In concomitanza, usciva A bordo di un arcobaleno e così, ho lasciato quella lampadina accesa sul foglio, prontamente ripreso successivamente. Ne è uscito un nuovo (capo)lavoro.

Omonimia e scaramanzia corteggiano la vita di Andreina De Belli, giovane psicologa romana, emigrata nel quadrilatero della moda, per lavoro. Un tragitto spericolato, il suo: a causa della zona tinta di rosso, gli unici mezzi ammessi sono Uber e le carrozze. “

“Alla fine, la vita, è come un grande arcobaleno: ad ogni periodo, corrisponde il suo colore”.

“A mia figlia, Lucrezia

Osservo le tue prime onde, amate e ricercate anche dalla tua mamma, che per natura li ha mossi. Le virgole nei capelli, così come nei testi, denotano la capacità di raccontare e raccontarsi, come noi oggi per la prima volta. Quanto a te, rispecchiano un carattere birichino e giocondo, che va a braccetto con la stravaganza, la ribellione e la solarità. Un bel mix, direi! Non si correggono loro, a differenza delle bozze: sono indisciplinati dal bulbo, come per il carattere già scritturato nel dna. Si ammirano nei loro ondeggi, o si criticano, a seconda del gusto. E anche questo aspetto, lo si può paragonare ad un libro finito che riceve consensi o disapprovazioni. Tuttavia, se ci si impiglia con le dita, come con una pagina stampata, è un vero gaudio. Un’onda è colei che travolge con sé ciò che la circonda, trasportando vivacemente da dietro in avanti. Come per un testo invitante. Il racconto vuole suggellare i tuoi primi momenti al mondo, durante un periodo cruciale in cui tutto passerà alla storia.

A mia sorella, ospite di una comunità lontana dai suoi affetti, a mio papà, oggi disabile, a cui lo leggerà un educatore, ai miei cari nonni materni che si sono presi l’impegno di crescermi, come si fa con una pianta in cerca di un buon terriccio e, non ultimo, a mio marito, il super papà che se fosse andato a lavoro, non avrei avuto il tempo di scrivere questo nostro gioiello autobiografico.

Concepito a seguito di una necessità, strettamente legata alla mia più grande passione, la scrittura, il racconto autobiografico riporta il nostro quotidiano ai tempi della pandemia. I pensieri delle prime pagine, saranno alla George Perec: senza filtri, mi racconto nella condizione da gestante, in balìa degli ormoni, nel primo lockdown. Aspetti curiosi e leggeri, daranno il via libera alle riflessioni da parte del lettore. Inoltre, non mancheranno i rimandi al passato: il vissuto coi nonni materni, il rapporto con mia madre, migliorato dalla nascita di Lucrezia, il muro dell’arcobaleno dove mio padre ogni giorno si sottopone alla riabilitazione. Per smorzare i toni di qualche pagina “nera”, capitoli interi dedicati al quotidiano in tre. I pesciolini, gli amichetti della mia primogenita, saranno presenti con altrettanti racconti virtuali con i suoi coscritti. La tragicomicità è una delle caratteristiche del libro. Un bagaglio a quattro mani (le altre sono della piccola protagonista col ciuccio e pannolino), pronto a condurre nella sua fiaba reale. “Non prendersi troppo sul serio”, è da sempre il mio motto, se no si corre il rischio di perdersi le cose belle e spensierate, spesso nascoste dietro alle fragilità.

E così, da un semplice stage, la rinominata “gavetta” in età adolescenziale presso una sede giornalistica, la mia passione si è convertita in lavoro, anche se per la verità, non l’ho mai sentito tale, proprio perché il raccontare e riportare storie all’alba o la sera tardi, non mi è mai stato di peso. “E’ un onore”, ripetevo a chi mi ringraziava a seguito di un comizio o ad una intervista esclusiva: per me era un dono trascrivere dal blocco scarabocchiato da penne che iniziavano blu e finivano anche verdi (quando le chiacchiere si facevano lunghe), a computer, le parole che registravo, rimanendo sempre imparziale. E oggi, dopo ben dieci anni di “gavetta”, giacché non si finisce mai di imparare, opto per raccontarci, con gli occhi di quella ragazza che finora ha promosso plichi di fatti e inchieste, delle vite altrui e che ora per la prima volta, intervista se stessa. Una cosa nelle mie corde, è “vivere di obiettivi”: finora, ho sempre cercato, riuscendoci, di remare verso la direzione da me favorita, anche se questa poteva comportare non avere il vento in poppa, l’alta marea o chissà quale avversità. “Tu mettici il cuore, al resto ci pensa la vita”, mi rammento. E forse, grazie a questa prospettiva, a destinazione, spesso e volentieri, ci arrivo. Proseguendo. Alzo le mani in segno di arresa, laddove ci fossero episodi meno sereni, garantendovi poi standing ovation di applausi, tra capitoli di grasse risate. Il lockdown, vissuto durante la dolce attesa, ha riservato momenti amari, poiché la preoccupazione si è insediata nella vita di tutti noi. Mio marito Fabrizio, dalla fine di aprile, ha perso il lavoro, lui che prima di questo virus, ha avuto una carriera ventennale in Carapelli, a Inveruno. Si è visto come sulle sabbie mobili, dove noi io e sua figlia, eravamo le sole certezze. E sarà proprio la nostra nascitura a esporsi in prima persona: le sue visite nel pieno del contagio, le sue percezioni rispetto al vederci con quelle ‘fasce’ su naso e bocca, gli incontri virtuali con altri coscritti, le video chiamate a Natale, e molto altro

Ecco, sono al traguardo, a ridosso della domanda che vi porrete: perché dovrei leggere questo libro? Ne sono usciti tanti simili, sulla pandemia. Ma il suddetto non ha come parola d’ordine “covid-19” o “distanziamento” . Anzi, vi garantisco che saranno contate. Certo, è il motivo che mi ha spinto a raccogliere i miei pensieri e il nostro quotidiano, PERO’ non girerà tutto attorno a loro. Voi dovrete leggerlo con gli occhi di un bambino, quello che siamo stati tutti. Vi ci ritroverete! Il libro vuole trasmettere un messaggio di speranza: la gente ha bisogno di storie leggere, belle e soprattutto vere. Il mio primo tentativo narrativo, non sarà (appositamente) perfetto, poiché punta sulla veridicità dei contenuti.”

INTERVISTA

Che genere di target ha questo libro?

Il paragone può sembrare azzardato, ma in realtà, fa al caso in questione: la mia biografia, si rivolge a più fasce d’età, senza preferenze di sesso e razza. E’ un libro che può essere letto comodamente a casa, ma con la tv spenta, o in metro, ma con gli auricolari che emettono un sottofondo zen. Può essere aperto sotto un pino, in compagnia di una merenda golosa, quella che preferite, ma fate attenzione alle briciole. In attesa di fare una visita, aiutandovi a scacciare la tensione. L’unico monito sarebbe per l’esame della vita, a ridosso di una promozione, evitate. Potrebbe farvi ridere così tanto, da far singhiozzare e storcere il naso alla giuria. Meglio di no, rimandate. Può leggerlo anche un bambino, dato che i contenuti sono accessibili e in chiave semplice. La sua mamma, mentre cura la torta nel forno o vi aspetta fuori da scuola. Probabilmente, la categorie delle mamme, presterà più attenzione, in quanto potrebbero ritrovarsi in alcune situazioni. Ma anche i (neo) papà, perché in questo libro, l’altra ispirazione è mio marito. Allentate la cravatta, al ritorno da lavoro, e leggetene una pagina per volta, vi entusiasmerà! Le condizioni temporali non contano, ma quel che vi suggerisco io, è di leggerlo sempre in una certa atmosfera creata da voi, secondo i criteri esposti. Come un alimento, dove sulla confezione viene riportato “è preferibile consumarlo,…”. Ecco, questo concetto sposa meglio l’idea.

Perché Edoardo e Candida, sono stati interpellati per la stesura della pre e postfazione?

Conobbi il noto critico gastronomico, nel marzo del 2015 durante una serata di beneficenza a Milano. “Piacere, molto lieta, i miei nonni la seguono sempre. Melaverde è uno dei loro programmi preferiti”, gli dissi allungando la mano (quando ancora si poteva fare). “Piacere mio, tu saresti?”. Mi presentai, in veste giornalistica, mostrando fiera il tesserino conquistato il mese prima e lui apprezzò incominciando a raccontarmi dei suoi esordi al Corriere. “Per anni mi sono occupato di cronaca nera, mentre tu cosa segui?”. Gli dissi che ero molto attratta dalle notizie provenienti dal mondo dello spettacolo e stavo muovendo i primi passi. Gli citai alcuni nomi noti per potergli attestare la veridicità della mia dichiarazione, in fatto di interviste, ma lui si fidò e lo notai dal suo atteggiamento. Del resto, i miei occhi parlavano chiaro: ci credevo dal profondo del cuore e poco a poco, portavo a casa le mie soddisfazioni, sotto lo sguardo compiaciuto della cara nonna. Un giorno, salì a casa e nell’imbarazzo collettivo, rivolse non pochi complimenti alla mia seconda mamma: il suo brasato gli era piaciuto tanto da fare il bis e lei non poté che rimanerne estasiata. Bene, da quella sera, con i rispettivi contatti in tasca, provammo a fare una collaborazione insieme: ne nacquero parecchie. Al Cibus di Parma, nel Pavese per parlare dei vini dell’Oltrepò, a Bolzano per la gara con le ricette in famiglia, a Rimini in occasione del Premio Cinque Stelle, per l’evento Vip Master a Milano Marittima. Affianco a lui, sembravo minuta, ma quando si saliva sul palco, riacquisivo la mia sicurezza: stavo conducendo con un cronista nato, un critico senza peli sulla lingua, pronto al giudizio senza mezzi termini. Eppure, ero entrata nelle sue grazie e nel frattempo coglievo gli aspetti chiave dal buon maestro, il quale mi stava dando un’ occasione unica per imparare sul campo uno dei mestieri più belli. Nell’aprile del 2016, mi propose di prendere parte alla conferenza stampa del terzo libro di Candida Livatino, in Mondadori Duomo. Mi preparai sull’argomento e qualcosa sull’autrice, che ammiravo a Studio Aperto, durante le sue analisi: mi piaceva esplorare la persona, meno il personaggio e così le sottoposi un’intervista che ricordiamo bene entrambe. Candida è una donna piena di energie, che distribuisce sorrisi a chi incontra, manifestandosi in tutta la sua umanità. Ci fu da subito empatia: un mese fa ci sentimmo in occasione dell’uscita della sua quarta fatica letteraria e da quell’incontro telefonico, mi balzò un’idea per il mio progetto a cui lavoravo dal precedente lockdown. Edoardo e Candida, avevano un desiderio comune molto forte, di quelli in cui ci speri e che al sol pensiero, fanno vibrare il cuore: diventare nonni. Nel mio libro, ricordo la gioventù a casa con loro, il rapporto con mia nonna Enza e soprattutto i suoi incoraggiamenti, come solo le nostre teste bianche sanno fare. Edoardo, in trasferta (e non), scrutava con dolcezza quelle famigliole che incontravamo: lì, svestiva il ruolo di bacchettone e si immaginava in quello più bonaccione. “Chissà se,…”, mi confidava spesso ed io lo vedevo sul pezzo. Una speranza in cui crede anche la nota grafologa, pronta a dedicarsi al nipotino o nipotina; “non avrebbe importanza, mi renderebbe felice in egual misura”. Rivolgo anche a voi due “grazie” sinceri (ma già lo sapete).

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