I Nevecieca, band che nasce in provincia e con una forte attitudine indipendente, hanno recentemente pubblicato “Vacuità”, un album che fonde immediata emotività e cura degli arrangiamenti, malinconia e ironia, leggerezza e profondità.
In questa intervista, la band racconta il loro percorso artistico, il rapporto con il contesto provinciale, l’importanza del live e della sala prove, e le influenze musicali, letterarie e cinematografiche che hanno contribuito a definire il loro immaginario. Parliamo anche del loro modo di fare musica insieme, della scena rock contemporanea e del legame tra amicizia e creatività, elementi fondamentali per la loro identità di band.
INTERVISTA
Venite da un contesto di provincia che spesso non offre grandi strutture o scene consolidate. In che modo questo ambiente ha influenzato il vostro modo di fare musica e la vostra urgenza espressiva?
La desolazione, o meglio ancora, il vuoto della vita di provincia è un tema latente del disco: se da un lato ci ha sempre fatto un po’ arrabbiare e/o deprimere, dall’altro forse la mancanza di scene o strutture spinge chi vive la provincia a crearsele da solo. È una sfida con se stessi e il mondo, in un’ottica punk e dal basso, ma proprio per questo autentica. Mi piace pensare che i Nevecieca rientrino in quest’ottica.
In un panorama dominato da progetti nati per le playlist, voi sembrate rivendicare un approccio più “rock band”, fatto di sala prove, sudore e concerti. Quanto è centrale per voi la dimensione live nel definire la vostra identità?
Lo è molto! Sia per un discorso personale sia per il rapporto con il pubblico: siamo un gruppo che nasce in sala prove (e alla sala prove ritorniamo sempre volentieri). Abbiamo la fortuna di avere un posto “nostro” dove provare, gli Estudios, gentilmente concessi dal nostro produttore Francesco Sergnese.
Le vostre canzoni hanno un’immediatezza emotiva che lascia però intravedere un grande lavoro sugli arrangiamenti. Come avviene il processo creativo dentro la band: parte tutto da un’idea singola o costruite i pezzi collettivamente?
Entrambe le cose: molti brani nascono da idee singole, spesso di Edward, ma poi ci lavoriamo tutti insieme e vediamo dove vanno a finire. L’unica regola è “servire la musica”: lasciamo l’ego fuori dalla saletta, cambiando sezioni, abbassando volumi o rinunciando a un fill di basso che ci piace ma che non serve al brano. Non è sempre facile, ma è uno dei motivi per cui ci troviamo bene a suonare insieme.
Il vostro immaginario ha una forte componente visiva e narrativa. Quali sono le influenze — musicali, letterarie, cinematografiche — che più hanno contribuito a costruire la vostra estetica?
Marco: La risposta potrebbe durare sei pagine! Cercherò di essere breve: siamo cresciuti con riferimenti alla scena alternativa anni ’90. William ed Edward sono più vicini al grunge e al rock italiano di allora (Verdena, Queens of the Stone Age, Nirvana), io più sul metal (Tool, Death, Porcupine Tree). Tutti e tre però concordiamo sui Pantera come miglior band metal della storia.
Siamo appassionati di cinema con gusti diversi: Edward ama Francesco Nuti (da cui prende ispirazione “Son Contento”), io ho scoperto un amore immenso per David Lynch, condiviso anche da William; siamo tutti fan di atmosfere oscure, sporche e di film che parlano di alienazione. Dal vivo usiamo talvolta intro da Rust Cole in True Detective.
Edward: Io e William siamo fan della psichedelia, come King Gizzard & the Lizard Wizard. Il disco è anche permeato da influenze letterarie: Burroughs, Bukowski, un libro del Dalai Lama (ispirazione per il concept di Vacuità) e Sulla Traccia di Nives di Erri De Luca.
Negli anni in cui crescevano realtà come Zen Circus, Ministri o Il Teatro degli Orrori, la scena rock e underground aveva un’energia molto riconoscibile, quasi comunitaria. C’è qualcosa di quel periodo che oggi sentite mancare, sia nella scena che nel modo di vivere la musica? E quanto questa mancanza influenza il vostro modo di essere band?
Non credo manchi qualcosa di preciso rispetto a quegli anni. Dopo il Covid è tornata l’urgenza di suonare strumenti e fare rock. La differenza è che questo nuovo movimento non è ancora arrivato al grande pubblico, ma credo che le cose cambieranno. Noi, prima di essere una band, siamo amici che condividono una passione, e la fortuna è che siamo cresciuti con l’immaginario delle grandi band che hanno fatto la storia.
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