I Ghibertins tornano con *Two Dots*, un brano che non rincorre le mode ma nemmeno si rifugia nel passato.
Il loro è un percorso fatto di coerenza, suoni curati e strumenti veri, in una città – Milano – che corre veloce. Ma più che reagire alla frenesia, la band milanese sceglie di restarne indipendente, scrivendo musica nel modo più naturale possibile. Li abbiamo intervistati per capire cosa significhi oggi restare fedeli a sé stessi in un panorama musicale sempre più orientato alla viralità.
INTERVISTA AI THE GHIBERTINS ( Suonare se stessi in un tempo che corre)
Vivere e fare musica a Milano significa confrontarsi ogni giorno con una città veloce, esigente. Quanto di questa frenesia entra nelle vostre canzoni?
Non scriviamo canzoni come se fossimo “una città”. Milano è il nostro contesto, non il nostro linguaggio. La frenesia che citi forse si riflette nel modo in cui si consuma la musica oggi, più che nel modo in cui la si scrive.
L’indie rock, che per anni è stato un linguaggio dominante, oggi sembra avere meno spazio nelle playlist e nei festival. Vi sentite fuori moda o semplicemente fuori dalle mode?
Non ci poniamo mai in quei termini, facciamo quello che sentiamo e, se questo ci rende meno presenti in certe dinamiche, ce ne facciamo una ragione.
Avete un sound internazionale, spesso in contrasto con l’orizzonte italiano più chiuso. È una scelta estetica o il riflesso naturale di quello che ascoltate?
È semplicemente un riflesso naturale di quello che ascoltiamo. Non abbiamo mai pensato a come “suonare internazionale”.
In questo momento storico in cui tutto sembra cercare la viralità, cosa significa per voi pubblicare un brano “alla vecchia maniera”, con strumenti veri, strutture classiche, suoni non artefatti?
Non ci sembra di fare qualcosa di così “alla vecchia maniera”. Ci sono tantissimi artisti oggi che suonano strumenti veri, che lavorano su strutture classiche, che curano il suono con attenzione. Non è un atto eroico, né nostalgico: è solo il nostro modo di fare musica. Non stiamo reagendo a nulla.
Guardando indietro a band come Franz Ferdinand o Arctic Monkeys, vi sentite parte di quella scena passata o state cercando un modo nuovo per sopravvivere a un genere che oggi non è più protagonista?
Non stiamo cercando di sopravvivere a nulla. Quella scena ha fatto parte della nostra formazione, ci ha ispirati, ma oggi siamo altrove. Forse ci sentiamo più affini a quell’era, sì, ma non per replicarla. Stiamo solo cercando di scrivere la nostra musica nel modo più autentico possibile, in un tempo che è il nostro. Non ci interessa essere protagonisti di un genere: ci interessa essere coerenti con chi siamo.