Con il suo disco Fragile, Alessia Scilipoti propone una musica classica contemporanea che unisce tecnica, sensibilità e un approccio profondamente umano.
Il suo lavoro si muove tra rigore e libertà, tra flauto e poesia, portando la musica classica fuori dagli spazi accademici e avvicinandola a un pubblico più ampio, in contesti alternativi e performativi. In questa intervista, Alessia ci racconta il suo metodo compositivo, le collaborazioni che hanno segnato la sua crescita artistica, il rapporto con il pubblico e la sua visione della musica contemporanea come esperienza viva e sempre in evoluzione.
INTERVISTA
Nel tuo percorso emerge una grande attenzione al suono come materia viva, quasi fisica. Quando lavori su un nuovo brano, da dove parti: dal gesto tecnico, dall’emozione che vuoi comunicare o dal significato che attribuisci al silenzio tra le note?
Quando lavoro su un nuovo brano, parto sempre da una fase di riflessione e ricerca: mi interesso al compositore, alla storia del pezzo e anche alle interpretazioni già esistenti, cercando di capire in che contesto siano nate o siano state registrate. Nel frattempo, immagino il brano nella mia mente, lo “ascolto” interiormente, e solo dopo comincio a suonarlo effettivamente. Un pezzo, indipendentemente dalla difficoltà tecnica, ha bisogno di tempo per maturare. Mi accorgo che continua a crescere anche dopo periodi in cui non lo suono: probabilmente perché l’io evolve giorno dopo giorno. È questo, per me, il bello della musica: non è mai definitiva. Emozioni diverse, fasi della vita diverse modificano l’interpretazione di uno stesso brano. Per questo credo sia importante ascoltare un musicista dal vivo e non accontentarsi di una registrazione fissata: ogni esecuzione è unica, irripetibile, viva.
Hai collaborato con diversi ensemble e compositori contemporanei. C’è un momento o un incontro in particolare che consideri una svolta nel tuo modo di concepire il ruolo del flautista oggi?
Sicuramente l’ambiente del Conservatorio di Milano mi ha aiutata a concepire il linguaggio contemporaneo come un aspetto importante quanto gli altri. Ricordo con grande gratitudine i seminari di interpretazione con mdi Ensemble e i corsi con il maestro Bonifacio. Anche il primo anno all’Accademia Chigiana mi ha svelato quanto questo mondo fosse da scoprire ed esplorare. Da allora ho continuato a coltivare il repertorio contemporaneo con la stessa dedizione che riservo agli altri periodi storici: oggi mi piace dedicarmi a tutto il repertorio flautistico, senza escludere nulla. Credo che il flautista debba possedere le competenze per affrontare l’intero repertorio a disposizione e, se possibile, conoscere anche la musica scritta per altri strumenti: questo permette di interpretare con idee nuove, prospettive diverse e maggiore consapevolezza musicale.
Fragile è anche un titolo che lascia spazio a molte interpretazioni: vulnerabilità, sensibilità, introspezione. Quanto c’è di autobiografico in questa scelta e quanto invece deriva da una riflessione più generale sull’essere artista nel presente?
Fragile indica vulnerabilità, ma anche la forza di riconoscere e condividere con gli altri questa condizione. È l’amore raccontato da Petrarca in Dolce tormento, è il contorno narrato in Der Umriss, è la condizione fisica e mentale che si manifesta nel momento delle onde alfa — quello stato sospeso in cui la coscienza si spegne e nella mente regna un piccolo caos creativo. Fragile racconta diverse prospettive dell’essere umano, in cui chiunque può riconoscersi. Il titolo è arrivato proprio durante la sessione di registrazione, forse anche spinto dalla sensazione di vulnerabilità che ho provato nel suonare davanti ai microfoni e nella consapevolezza di star fissando quelle emozioni su un CD.
La musica contemporanea è spesso percepita come distante dal pubblico. Come affronti questo aspetto quando ti esibisci dal vivo? Cerchi di guidare l’ascoltatore attraverso parole, immagini o lasci che il suono agisca da solo?
L’obiettivo di Fragile — e in generale della mia attività artistica — è far comprendere davvero ciò che sto facendo e perché. Fragile include poesie proprio per aiutare l’ascoltatore a orientarsi e a entrare nel contesto emotivo del suono. Il legame tra poesia e flauto non è una novità: semplicemente, oggi il flauto può “parlare” contemporaneamente. Nei live di Fragile esploro anche le connessioni con il repertorio flautistico del passato e la poesia, per mostrare quanto questa relazione attraversi epoche e linguaggi. Durante l’esecuzione dal vivo, le poesie vengono recitate prima dell’ascolto, per preparare l’orecchio e la mente. Credo sia necessario educare all’ascolto di questa musica, che può sembrare ostica a chi non la conosce ma non deve spaventare. Ascoltare la musica contemporanea significa restare in dialogo con il presente; escluderla, invece, sarebbe un errore.
La musica classica vive ancora molto dentro gli ambienti accademici e istituzionali. Secondo te, come può uscire da questi spazi per tornare a essere una forma d’arte viva, accessibile e vicina anche a chi non ha una formazione musicale?
Credo che la musica contemporanea spesso intimorisca il pubblico, ma in modo preventivo. Ammetto che anch’io mi sono trovata ad ascoltare concerti di musica contemporanea sentendomi completamente spaesata — ma riconosco il problema non nella musica in sé ma nelle condizioni in cui viene suonata e nella preparazione all’ascolto che viene fatta. La musica contemporanea si ascolta in modo diverso da quella classica: l’orecchio non deve cercare una melodia o una cadenza, ma lasciarsi guidare da sensazioni, timbri, emozioni. Per questo è importante che l’ascoltatore si apra, metta da parte la rigidità accademica e si metta nella condizione di accogliere la novità. È un compito che spetta a noi musicisti: prenderci cura del pubblico e creare le condizioni per un ascolto autentico. L’uso di altre arti e il coinvolgimento dei sensi possono aiutare — non sono indispensabili, ma possono aprire nuovi canali percettivi.
Guardando al futuro, ti immagini di continuare su questa linea di ricerca o pensi di esplorare anche altri linguaggi, magari contaminando la tua formazione classica con elementi elettronici o multimediali?
Guardo con grande curiosità al mondo dell’elettronica e dell’interazione di essa con uno strumento acustico. Seguo con stima molti artisti che hanno fatto di ciò il centro della loro ricerca e rimango affascinata dalle potenzialità espressive e performative che questo mondo può regalare. Al momento mi sento ancora un po’ distante da quel tipo di linguaggio — ho ancora molto da studiare e da scoprire — ma continuerò a muovermi con curiosità nel panorama della musica di oggi, senza escludere una possibile contaminazione futura tra la mia formazione classica e altri mondi sonori.
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